Il conflitto è la percezione che qualcuno stia controllando le nostre scelte; quando ci viene detto che siamo “sbagliati”, “pericolosi”, “ingenui” o “stupidi”, (quale altra parola vi viene in mente?)
Questa percezione è il risultato di una mentalità “vincere/perdere” instillata in noi in giovane età: se l’altro ha ragione allora, per impostazione predefinita, devo essere io quello che ha torto e viceversa. Il conflitto nasce dall’incapacità di accedere al terreno comune della nostra umanità condivisa, in cui tutti possiamo avere ragione.
Questo terreno comune esiste, e quando ci concentriamo su questo terreno il conflitto può essere visto come un’opportunità di apprendimento e comprensione delle differenze. Quando riesco a intendere nel comportamento degli altri l’umanità che si esprime (cioè i bisogni che motivano quel comportamento) piuttosto che reagire per le parole aspre o per le azioni che non mi sono piaciute, allora posso uscire dal gioco di credere di essere “sbagliato”, o dal mio bisogno di essere “giusto”. (Questo è lo stesso meccanismo dei conflitti interni, quando mi dico che “non ho altra scelta”, “non sono abbastanza bravo”, “non sono amabile”)
Per essere in grado di vedere il conflitto come un’opportunità di crescita (piuttosto che qualcosa da evitare) diventa necessario rafforzare la nostra abilità di ascoltare realmente il messaggio delle persone (i bisogni che cercano di esprimere) dietro le parole che usano e non preoccuparsi troppo del come quelle parole vengono espresse.
I conflitti si creano sempre in relazione alle soluzioni (“metti a posto la tua camera”/“la mia camera è uno spazio mio e ci faccio quello che voglio”); i conflitti si dissolvono quando li mettiamo in relazione ai desideri della nostra umanità (io ho bisogno di responsabilità condivise/tu hai bisogno di autonomia e di libertà di scelta). Ci viene insegnato a valutare quali sono le soluzioni migliori senza nemmeno conoscere i bisogni della nostra umanità che stiamo cercando di soddisfare!
Ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere e prosperare è universale: tutti abbiamo bisogno di cibo e riparo, cura e considerazione, importanza e contributo. Siamo molto diversi gli uni dagli altri nel particolare modo in cui siamo attaccati ai nostri modi preferiti (o imparati) per soddisfare questi bisogni. Potremmo chiamare questo attaccamento: passione. La passione di un altro potrebbe sembrare antagonismo, quando in realtà è il segnale che l’altro tiene profondamente a qualcosa. Essere in grado di riconoscere la passione di altre persone è molto importante e ci permette di evitare il giudizio come per esempio quando pensiamo o diciamo “Oh quella persona sta alzando la voce” o “usano parole che non mi piacciono, quindi la loro argomentazione non è interessante, o non è valida” o diciamo “Non li ascolterò più”.
La passione che accompagna l’espressione nel conflitto è finalizzata ad ottenere riconoscimento per i bisogni che non sono soddisfatti in quella situazione. La concentrazione appassionata sui nostri bisogni insoddisfatti può oscurarci dal vedere l’immagine più ampia della situazione (i bisogni che l’altro sta esprimendo nella sua passione). Il quadro più ampio si può vedere con l’occhio della consapevolezza, e il più grande ostacolo alla consapevolezza è la nostra stessa reattività. Molti di noi sanno di essere reattivi nel conflitto e la scelta migliore che in quel momento riescono a fare è stare in silenzio.
La Comunicazione Nonviolenta offre un’altra strada al silenzio e nuovi strumenti; comprendere “come” agiamo la nostra reattività è il primo passo per acquisire la capacità di scegliere un nuovo modo di agire nel conflitto; ecco a cosa serve formarsi alle abilità per far fronte ai conflitti: ad allenare la nostra mente ad allargare lo spazio che esiste tra lo stimolo (i comportamenti degli altri) e la nostra risposta.
È questo lo spazio che chiamiamo scelta.