Qual è la storia che mi racconto quando dico “ho fallito”?
Racconto a me stessa e agli altri “io non valgo abbastanza”, oppure “non ho le abilità richieste”, oppure “è troppo complicato per me”. Quando uso la parola “fallimento” la mia attenzione è tutta rivolta a ciò che non ho, il mio focus è sulla mancanza.
Qual è la storia che mi racconto quando dico “ho avuto successo”?
Il successo
Racconto a me stessa “sono brillante”, “io valgo”; e quando il successo ha richiesto un certo impegno e sforzo, perché non è stato un cammino facile, c’è qualcos’altro che dico: “ne è valsa davvero la pena!”, “alla fine ce l’ho fatta!”, “ho fatto bene a non mollare!”. Quando uso la parola “successo” la mia attenzione è orientata sul darmi valore o riconoscere il valore della fatica fatta e necessaria. Quando la mia mente è sintonizzata sulla parola “successo”, riesco a riconoscere il valore di tutti quei piccoli in-successi che sono stati necessari per raggiungere il mio risultato; e ammetto con umiltà che il risultato è stato sudato, che mi ci è voluto più di un tentativo per riuscire, che ci ho provato e riprovato, ancora e ancora.
I pensieri
Nello scrivere questo articolo ci sono state molte occasioni in cui ho riformulato le frasi e rivisto le parole che ho scelto; alcune frasi le ho scritte e poi cancellate completamente. Prima di scrivere l’articolo, ero consapevole che non l’avrei scritto di getto, che mi avrebbe richiesto sforzo e disponibilità nel provare e riprovare ancora. Se io ora non avessi completato l’articolo, avrei detto che sarebbe stato a causa di questi fallimenti. Ma ora che lo sto vedendo realizzarsi sotto i miei occhi, allora dico che è stato proprio grazie a quei continui ritocchi che questo mio prodotto è finito.
Il valore dei fallimenti
Quando ho successo, allora riconosco il valore dei fallimenti. Mentre quando sono nello stato mentale del “ho fallito” semplicemente mi dimentico di tutto questo. E la mancanza diventa onnicomprensiva, la mancanza è tutto quel che c’è e che riesco a vedere.
Quando mi ricordo (o qualcuno mi aiuta a ricordare), che il fallimento che sto soffrendo è la mia inabilità a vedere il successo che sto raggiungendo, quando mi ricordo che questo fallimento è la parte essenziale del successo che mi sta aspettando, allora io posso accettare che ciò che sto vivendo è una parte naturale della mia esperienza. E’ questa accettazione che crea lo spazio per ri-focalizzarmi sulle risorse di cui ho bisogno per continuare. Che cosa mi serve per risollevarmi nel mezzo di questo fallimento e proseguire verso il successo? Mi serve più riposo? Più tempo? Più informazioni o abilità? Più pratica? Tutto questo io lo chiamo “supporto”, ecco cosa mi serve: più supporto! Ciò che ora accade è che ho qualcosa su cui focalizzarmi: trovare il supporto che mi serve, piuttosto che focalizzarmi sul giudicarmi come un incapace.
Grandi fallimenti o grandi successi?
Il fallimento è un ingrediente fondamentale del successo; il fallimento è l’occasione che mi ricorda di che cosa ho bisogno per raggiungere il successo. Come ha dichiarato Yogananda, “Il fallimento è una stagione in cui piantare nuovi semi.”
Certo! Quante succulente occasioni la vita ci offre per ingabbiare noi stessi nell’idea di essere dei falliti seriali?
Anche Thomas Edison è stato punzecchiato in tal senso. A lui si deve il perfezionamento dell’invenzione della lampadina. Fece migliaia di tentativi (sembra circa 2.000) per mettere a punto la sua invenzione, si narra che usò anche un pelo di barba. Ebbene, durante una conferenza un giornalista gli chiese: “Ci dica, Mr. Edison, come ci si sente a fallire ben duemila volte nel tentativo di far funzionare qualcosa?”
La sua risposta fu: “Io non ho per niente fallito duemila volte! Ho semplicemente trovato millenovecento-novantanove modi su come non va fatta una lampadina.”